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Basilica Palladiana
LA BASILICA
Nel 1496 crollano le logge appena costruite intorno all’antico palazzo della Ragione, sede di Consiglio e magistrature cittadine e, al piano terreno, di botteghe. Per quattro decenni si discute la sua ricostruzione, coinvolgendo i grandi architetti della regione, compresi Sansovino nel 1538, Serlio nel 1539, Sanmicheli nel 1541 e da ultimo Giulio Romano nel 1542. Nonostante pareri tanto illustri, nel marzo del 1546 il Consiglio cittadino decide di vagliare il progetto di un architetto locale trentenne: Andrea Palladio. È una vittoria di Giangiorgio Trissino, capace di coagulare intorno a Palladio le litigiose famiglie vicentine.
Altri tre anni di discussioni, e il primo maggio del 1549 viene aperto il cantiere, dopo che a favore di Palladio si sono espressi la fazione filofrancese con Girolamo Chiericati e quella filospagnola con Giovanni Alvise Valmarana. La costosa realizzazione, tutta a carico della città, procederà a rilento: il primo ordine di arcate settentrionali e occidentali sarà concluso nel 1561, il secondo livello, avviato nel 1564, sarà completato nel 1597, il prospetto su piazza delle Erbe nel 1614.
Disegni palladiani mostrano come egli arrivi alla soluzione finale. All’inizio, temendo crolli, progetta delle arcate massicce, che però tolgono luce all’interno delle logge. Quindi concepisce un azzardo strutturale: concentrare i carichi in pilastri molto più sottili ma poderosi perché interamente in pietra. Fra di essi riduce al massimo la parte muraria, mettendo in serie la cosiddetta serliana, composta da un arco affiancato da due aperture laterali rettangolari. Concepita per la prima volta da Bramante, e resa popolare da Serlio nel suo Quarto Libro (Venezia 1537),la serliana è una “traduzione in latino” della polifora gotica. Essa serve a Palladio anche per tener conto dei necessari allineamenti con le aperture e i varchi del preesistente palazzo quattrocentesco: la sequenza di serliane mantiene costante la larghezza degli archi maggiori, mettendo in secondo piano la larghezza variabile delle aperture laterali rettangolari, necessaria per assorbire le differenze di ampiezza delle campate. L’idea di questo utilizzo “elastico” della serliana giunge a Palladio da Giulio Romano, che l’aveva applicato anni prima lungo la navata della chiesa del monastero di San Benedetto in Polirone.
Palladio definisce «basilica» il palazzo della Ragione circondato dalle nuove logge in pietra, in omaggio alle strutture della Roma antica dove si discuteva di politica e si trattavano affari. La carriera di Palladio è a una svolta: diviene ufficialmente l’architetto della città di Vicenza, responsabile di un’opera grandiosa. Il salario di cinque ducati al mese costituirà per la famiglia Palladio una preziosa fonte di reddito, fino alla morte di Andrea nell’agosto del 1580.
Guido Beltramini (2020)
I Quattro Libri dell’Architettura
I Quattro Libri dell’Architettura di Andrea Palladio hanno esercitato un’enorme influenza, diffondendo la conoscenza delle opere e delle idee dell’architetto italiano ben oltre la piccola cerchia di committenti eruditi e architetti che riuscivano a raggiungere l’Italia per vedere i suoi edifici. L’efficace impianto grafico del libro, con la sua combinazione di testi e illustrazioni, costituì una lezione per tutti i successivi libri sull’architettura. Fu ampiamente distribuito non soltanto in successive edizioni italiane, ma anche in molte traduzioni integrali o parziali.
Con ogni probabilità, Palladio maturò l’idea di pubblicare un libro sull’architettura fin dagli esordi della propria carriera. Aveva davanti a sé l’esempio del Quarto Libro (1537, sugli ordini) e del Terzo Libro (1540, sulle antichità e i capolavori moderni) di Serlio. La sua visita a Roma nel1541, lo indusse probabilmente a pensare che avrebbe potuto fare meglio, mentre la nomina di Serlio ad architetto di Francesco I di Francia deve averlo spronato. I suoi primi studi su Vitruvio, la progressiva raccolta di un corpus di disegni di opere antiche e moderne, nonché l’eleganza con cui formulò i suoi primi progetti contribuiscono a suggerire che di pari passo con i propri studi e l’attività di architetto procedesse di proposito alla creazione di materiale per un libro. La prima indicazione circa l’esistenza del libro in forma manoscritta è data dagli accenni che ne fanno Doni (1555) e Daniele Barbaro (1556); quest’ultimo scrive che esso è principalmente dedicato all’architettura domestica «con le piante, gli in pie[di], profili di tutte le case, & pallazzi, che egli ha ordinati a diversi nobili, con l’aggiunta di alcuni belli Edifici antichi ottimamente dissegnati». L’attenzione rivolta alle case rappresenta un cambiamento rispetto alle priorità di Vitruvio e Serlio che danno la precedenza agli ordini e all’architettura religiosa (il Sesto Libro di Serlio, sulle case, i palazzi e le residenze di campagna non fu mai stampato).
L’impostazione data da Palladio si ispira probabilmente a Trissino, il quale inizia il suo breve saggio manoscritto sull’architettura dichiarando: «La architettura è un artificio circa lo habitare de li homini, che prepara in esso utilità e dilettazioni». Anche Alvise Cornaro, nel suo trattato non pubblicato di architettura, si concentra sulle case.
Nel 1555, Palladio forse ritenne di dover costruire di più in modo da poter presentare una valida architettura moderna sulla base esclusiva dei propri lavori e all’inizio degli anni sessanta del Cinquecento era in grado di farlo; gran parte dei primi tre libri è già redatta nel manoscritto conservato alla Biblioteca Correr, databile al periodo 1561-1565. Nel 1566, Giorgio Vasari era a Venezia dove vide il manoscritto di Palladio e utilizzò i propri appunti su di esso, alquanto confusi, nella stesura della biografia di Palladio (1568). Il lavoro preparatorio ai testi e alle illustrazioni è ulteriormente documentato da disegni e da soltanto quattro righe scritte da Palladio e non da aiutanti (come il manoscritto Correr).
Battista Zelotti, nella propria rappresentazione dell’Architettura negli affreschi di villa Emo, celebra gli ancora inediti Quattro Libri: la dama esibisce un libro manoscritto, con la pianta della villa stessa.
Il 21 aprile 1570 l’editore Domenico de’ Franceschi – probabilmente un socio, non un parente dell’importante editore di testi di architettura Francesco de’ Franceschi – richiese i diritti veneziani per l’opera ancora composta da tre, e non quattro, libri. Il titolo subì un’ultima trasformazione: l’opera comparve dapprima come Due libri dell’architettura e Due libri delle antichità, titoli che divennero ben presto un unico Quattro Libri (ma con due dediche, una per ciascuna coppia di libri, all’amico e committente Giacomo Angaran e a Emanuele Filiberto, duca di Savoia).
Nel completare il proprio libro, Palladio trasse vantaggio dalla recente pubblicazione di buone traduzioni illustrate dei testi chiave sull’architettura (Vitruvio e Alberti), ai quali poteva, per molti argomenti, fare semplicemente riferimento. Il suo lavoro evita gli errori di Serlio (come annotare le dimensioni in caratteri piccoli invece di inserirle in maniera leggibile sulle piante) e trae vantaggio dall’abile presentazione degli ordini fatta da Vignola (1562) e dall’esempio delle eccellenti illustrazioni delle antichità contenute nel Libro di Labacco (1552).
Palladio offre una chiara, coesa guida all’architettura, impostata in maniera molto simile alle contemporanee guide alla grammatica e allo stile. Inizia con la descrizione delle componenti di base e le regole che le governano: gli ordini, la forma delle stanze, i tipi di volta, le porte, le finestre, le scale. Nel Secondo libro mostra come queste possano essere combinate a comporre palazzi e ville. Nel Terzo libro esamina gli edifici pubblici, a cominciare dalle strade e dai ponti, per poi passare alle piazze, alle basiliche e perfino a un ginnasio. Il Quarto libro si differenzia alquanto dagli altri: dopo osservazioni generali sull’architettura religiosa, Palladio pubblica le proprie ricostruzioni dei templi antichi, con succinte, ma acute analisi storiche e architettoniche di ognuno.
Palladio si rivolgeva a un pubblico ampio che comprendeva artigiani colti, studiosi, architetti, potenziali committenti e gentiluomini eruditi. La decisione di adottare uno stile di scrittura chiaro e diretto – «mi servirò di quei nomi, che gli artefici hoggidì communemente usano» –, assieme alla chiarezza delle illustrazioni, rese l’operazione possibile.
Nei Quattro Libri Palladio si presentava al mondo. Non è un’autobiografia bensì un autoritratto. Palladio non sceglie di raccontare la propria storia, il lungo, difficile e felice cammino che lo porta dall’originaria condizione di artigiano alla fama di principale architetto, e scrittore di architettura, di Venezia. Il suo libro però rivela senz’altro il suo senso della professione; la riconoscenza nei confronti di Trissino, Angaran, e altri committenti; il suo scetticismo e acume critico; l’ammirazione nei confronti di molti artisti, il fervido dialogo con le rovine dell’antichità. Trasmette il sentimento che le belle architetture offrono una qualche consolazione di fronte alle avversità della vita; l’orgoglio nei confronti delle proprie creazioni, come la chiesa di San Giorgio o la Basilica di Vicenza: «non dubito che questa fabrica non possa esser comparata à gli edificij antichi; & annoverata tra le maggiori, e le più belle fabriche, che siano state fatte da gli antichi in quà, si per la grandezza, e per gli ornamenti suoi». Nei Quattro Libri Palladio celebra il fatto che anche a lui fosse riservato un posto nella nobile storia delle arti in Italia, tracciata dall’amico Vasari.
Howard Burns (2008)
La Rotonda
La Rotonda non è villa-fattoria, ma villa suburbana, costruita poco al di fuori della città, come la villa di Cricoli di Trissino. È ispirata alle residenze degli antichi Romani desiderosi di vivere a contatto con la natura senza allontanarsi troppo dal luogo del potere: una tipologia rilanciata dai potenti cardinali di primo Cinquecento con le loro “vigne”, dove Trissino e Palladio erano stati spesso ospiti durante i viaggi a Roma.
Il sito in cui sorge è particolarissimo perché offre a Palladio la possibilità di una citazione letteraria dalle pagine in cui lo scrittore antico Plinio il Giovane descrive la propria villa nell’antica Tuscia: la Rotonda sorge su un «monticello di ascesa facilissima» ed è circondata da colli che ne fanno un «molto grande teatro».
Il committente Paolo Almerico è figura singolare: uomo di chiesa, con una brillante carriera alla corte di ben due papi, è accusato di omicidio e passa diversi anni in prigione prima di commissionare la villa nel 1566. Abitabile nel 1569 ma ancora incompleta, la Rotonda viene ceduta nel 1591, due anni dopo la morte di Almerico, ai fratelli Odorico e Mario Capra che la portano a termine. Vincenzo Scamozzi interviene sul progetto dopo la morte di Palladio, tagliando al centro le quattro scalinate per consentire un accesso diretto al basamento della villa: certo un miglioramento distributivo, ma con un impatto crudele sull’edificio, che verrà cancellato solo alla fine del Settecento. È di Scamozzi anche la coppia di aperture che danno aria ai pronai, di una forma ovale inconsueta nel linguaggio palladiano.
La decorazione dell’edificio è sontuosa, con interventi di Lorenzo Rubini e Giambattista Albanese (statue), Agostino Rubini, Ottavio Ridolfi, Ruggero Bascapè, Domenico Fontana e forse Alessandro Vittoria (decorazione plastica di soffitti e camini), Anselmo Canera, Bernardino India, Alessandro Maganza e più tardi Ludovico Dorigny (apparati pittorici).
In origine la Rotonda era isolata e priva di annessi agricoli, realizzati in seguito da Scamozzi. È un’astrazione, specchio di un ordine e un’armonia superiori. Orientata con gli spigoli verso i quattro punti cardinali per essere letta come volume, è composta da cubo e (semi)sfera, le figure base dell’universo platonico. Le fonti per un edificio residenziale con una sala rotonda al centro sono molteplici, dai progetti di Francesco di Giorgio ispirati a villa Adriana, alla casa di Mantegna a Mantova (o la sua Camera degli Sposi nel castello di San Giorgio), sino a modelli letterari come il Mausoleo di Alicarnasso, anch’esso quadrato, con quattro pronai identici e una cupola. I suoi alzati sono debitori delle rappresentazioni di templi antichi sulle monete imperiali romane.
La Rotonda resta un unicum nell’architettura di ogni tempo e nella stessa produzione di Palladio, che ne era certo consapevole. Come recita un sonetto del poeta e artista Giovanni Battista Maganza indirizzato a Paolo Almerico: «La Rotonda è il più bel progetto che Palladio abbia mai fatto perché voi lasciaste briglia sciolta al suo cervello».
Guido Beltramini (2020)
Pomodorino del Piennolo del vesuvio D.O.P
Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP è uno dei prodotti più antichi e tipici dell'agricoltura campana, tanto da essere perfino rappresentato nella scena del tradizionale presepe napoletano. In realtà, in diversi territori della Campania, esistono raggruppamenti di ecotipi con bacche di piccola pezzatura, i cosiddetti "pomodorini", che si distinguono tra loro per tipicità, rusticità e qualità organolettica. I più famosi da sempre sono però quelli tuttora diffusi sulle pendici del Vesuvio.
Criptoportico dei Santi Quaranta
I Santi Quaranta sono i resti di un lungo criptoportico di età romana situati a Benevento, fra il rione San Lorenzo e l'area rurale di Cellarulo, in corrispondenza di un dirupo sulla sinistra della basilica della Madonna delle Grazie. L'edificio consisteva in un sistema di gallerie coperte a volta, di datazione e utilizzo incerti; più precisamente, vi era almeno un lungo corridoio cui si connettevano due trasversali, più corti. Il monumento fu riutilizzato nel Medioevo per impiantarvi una chiesa dedicata ai quaranta martiri di Sebaste che, benché scomparsa, gli dà ancora oggi il nome. È stato seriamente danneggiato dai bombardamenti che interessarono Benevento durante la seconda guerra mondiale. I cosiddetti "Grottoni" di epoca romana, situati all'interno del complesso dei Santi Quaranta, sono stati proprietà della famiglia di Nicola Collarile dal XVI al XX secolo. Attualmente il sito è curato da un gruppo di volontari.
Parco Nazionale del Vesuvio
Il territorio del Parco Nazionale del Vesuvio è un concentrato di ricchezze naturalistiche, storia della vulcanologia, paesaggi mozzafiato, coltivazioni secolari e tradizioni che rendono lʼarea vesuviana uno dei luoghi più affascinanti e tra i più visitati al mondo.
Il Parco Nazionale del Vesuvio nasce ufficialmente il 5 giugno 1995 per conservare le specie animali e vegetali, le associazioni vegetali e forestali, le singolarità geologiche, le formazioni paleontologiche, le comunità biologiche, i biotopi, i valori scenici e panoramici, i processi naturali, gli equilibri idraulici e idrogeologici e gli equilibri ecologici del territorio vesuviano.
Poggiomarino
Poggiomarino, Una Tappa che Precede Pompei – Il Villaggio Fluviale Lungo le Acque Pulite del Sarno
La tappa successiva del Tour Vesuviano è rappresentata da Poggiomarino, un Comune contraddistinto da una storia sorprendente che affonda le proprie radici alla remota Età del Bronzo.
Secondo le notizie in nostro possesso, il primo popolo che visse in quest’area fu quello dei Sarrastri, descritti da Virgilio nell’Eneide. Il loro arrivo nell’area di Poggiomarino viene datato al 1600 a.C., quando emigrarono dal Peloponneso. A seguito di diverse opere di bonifica, conferirono al fiume presente nella zona il nome di Sarno e, in omaggio al medesimo corso d’acqua, si ribattezzarono Sarrastri: “Figli del Sarno”.
I primi abitanti di Poggiomarino furono poi costretti a trasferirsi altrove a causa di una forte alluvione, dando vita all’insediamento di Pompei.
Il percorso partirà proprio dalla scoperta di un importante sito archeologico di recente inaugurazione, per proseguire con delle esperienze enogastronomiche che coinvolgono prodotti tipici della zona: vini vulcanici e nocciole.
Visita al Parco Archeologico Naturalistico di Longola
Il percorso contempla la visita, insieme ad una guida, del sito archeologico situato nel Parco di Longola.
Il sito protostorico, scoperto nel 2000 in località Longola di Poggiomarino, è stato oggetto di successive indagini condotte dal Parco Archeologico di Pompei. Questi studi hanno messo in luce un insediamento perifluviale in ambiente umido, frequentato dalla media Età del Bronzo fino al VI sec. a.C.
Il sistema insediativo è costituito da isolotti artificiali circondati da un sistema di canali di varie dimensioni. Sulle aree in asciutto sorgevano le capanne in materiale deperibile, mentre i canali permettevano gli spostamenti interni e verso l’esterno.
Fin dall’Età del Ferro, il sito si caratterizza per la presenza di aree destinate ad attività artigianali, configurandosi come un importante centro di produzione e scambio di manufatti.
L’elemento acquatico ha caratterizzato la vita del villaggio in tutte le sue fasi e ha consentito la conservazione di numerosi materiali deperibili, che costituiscono un eccezionale dossier archeologico.
Questo rende Poggiomarino un sito unico nel suo genere in Italia Meridionale, colmando un’importante lacuna sul popolamento della Valle del Sarno, finora documentata soprattutto da contesti funerari, e contribuendo in modo significativo alla ricostruzione delle dinamiche insediative nelle fasi che hanno preceduto la nascita di Pompei.
Visita in una Cantina Locale con Degustazioni di Vini del Territorio e di Prodotti Tipici
Alla conclusione della visita raggiungeremo un’azienda vitivinicola locale, rinomata per la produzione del famoso “Lacryma Christi”, ottenuto da uve locali coltivate con amore da decenni.
Gli astanti potranno degustare, oltre ai vini, i prodotti enogastronomici a km 0; inoltre, sarà possibile assaggiare dolci e cioccolato preparati con la nocciola, un prodotto molto rinomato nell’area di Poggiomarino.
Nocciola Experience: Alla Scoperta della Tradizione della Nocciola con Degustazioni di Dolci e Cioccolato
Poggiomarino si configura da sempre come un grande produttore di nocciole. L’assenza di montagne, il terreno fertile e ben irrigato hanno favorito lo sviluppo dell’agricoltura sul territorio poggiomarinese, con particolare riferimento al grano e alla nocciola.
Per celebrare l’importanza del sito di Longola, sarà creato, da un maître chocolatier del paese, un esclusivo cioccolatino a base di nocciola.
Trecase
Trecase, La porta di accesso al Vesuvio – Una giornata alla scoperta della biodiversità e dei sapori vesuviani
Trecase, il più piccolo comune situato alle pendici del Vesuvio, deve la sua fama al legame indissolubile con lo "Sterminator Vesevo", il vulcano che nel 79 d.C. seppellì Pompei ed Ercolano. La posizione privilegiata vicino al Monte Vesuvio ha contribuito a forgiare una storia ricca e affascinante. Le origini del paese risalgono all’antichità, quando l’area veniva utilizzata come punto strategico di osservazione e difesa grazie alla vista panoramica sulla baia di Napoli e sulla campagna circostante. Numerosi punti panoramici offrono oggi vedute mozzafiato tra il Vesuvio e il mare.
Come afferma l’artista Luigi Franzese, il Vesuvio è un “Signore della Natura”, distruttore e creatore allo stesso tempo. Questa dualità si riflette anche nella fertilità dei terreni vulcanici, ideali per la coltivazione di vigneti e prodotti agricoli unici, tra cui il Pisello Centogiorni, presidio Slow Food. La tradizione vitivinicola è uno dei punti di forza del territorio, con la produzione di vini locali che spaziano dai bianchi leggeri ai rossi corposi, tutti caratterizzati dall’inconfondibile impronta del terreno vulcanico.
Visita al Gran Cono del Vesuvio: il racconto
A causa delle condizioni atmosferiche, non sarà possibile effettuare la visita al Gran Cono, ma il percorso sarà narrato per permettere ai partecipanti di immergersi nell’esperienza. Il sentiero n. 6, noto come Strada Matrone, parte da Boscotrecase e offre un viaggio attraverso storia e natura. Inaugurata nel 1927 dopo quasi trent’anni di lavori e ricostruzioni dovute a colate laviche, la strada carrozzabile conduce fino al piazzale a quota 1.050 metri. Da qui si può intraprendere a piedi la salita al Gran Cono, un percorso di circa 4 km che raggiunge quota 1.175 metri. Lungo il tragitto, si ammira il versante settentrionale del Monte Somma, con i Cognoli di Sant’Anastasia e la Punta Nasone, la cima dell’antico vulcano alta 1.132 metri. La vista si apre su un panorama straordinario che abbraccia il Golfo di Napoli e l’imponente profilo del vulcano.
Visita a una cantina locale con degustazioni di vini e prodotti tipici
La giornata prevede una tappa in un’azienda vitivinicola del territorio, produttrice del celebre Lacryma Christi, ottenuto da uve autoctone coltivate con passione e metodi tradizionali. La degustazione include vini abbinati a prodotti tipici locali a km 0, come melanzane, zucchine, zucche, pomodori del piennolo e il rinomato Pisello Centogiorni. Questo legume, coltivato da oltre un secolo in consociazione con alberi da frutto e vite, si distingue per la sua dolcezza, la consistenza tenera della buccia e il processo produttivo completamente manuale.
Patrimonio culturale e tradizioni locali
Trecase custodisce un ricco patrimonio storico e artistico. Tra i luoghi di interesse spicca il Santuario di Santa Maria delle Grazie e San Gennaro, un importante edificio religioso situato nel cuore del comune. Eventi culturali e tradizioni locali contribuiscono a mantenere vive le radici storiche e il Genius Loci, coinvolgendo attivamente tutta la comunità.
La posizione strategica di Trecase, vicina a siti iconici come Pompei, Ercolano, Napoli e la Costiera Amalfitana, lo rende un punto di partenza ideale per esplorare la regione. I visitatori possono vivere un’esperienza completa che combina storia, arte, paesaggi straordinari ed eccellenze enogastronomiche.
Palma Campania
Palma Campania, Mediterraneo Stile di Vita – Dieta e Folklore per una Convivialità che Assicura Longevità
ASSET: Gastronomia
FOCUS: Sistemi Alimentari Locali a tutela dell’uomo e del pianeta
Secondo alcune fonti, il Comune di Palma Campania ha avuto origine intorno all’anno 500 d.C.. In corrispondenza del paese esisteva una stazione romana denominata Ad Teglanum, un luogo dedicato alla costruzione delle tegole.
A seguito dell’eruzione del Vesuvio del 512 d.C., l’area fu rasa al suolo, e su una collina vicina venne costruito un villaggio chiamato Palma, probabilmente ispirato alle palme e agli ulivi presenti nella zona.
La terra di Palma era particolarmente florida, e i suoi abitanti si dedicavano prevalentemente ad agricoltura e pastorizia. Tra le usanze alimentari prevalevano:
Pane, cereali, legumi e verdure
Carni di maiale e selvaggina
Insaccati, pesce mediterraneo e frutta
Vino
Già nell’antichità, infatti, la triade mediterranea – ulivo, grano e vite – rappresentava la base dell’alimentazione della popolazione locale.
Proprio a Palma Campania, nel marzo scorso, è stato inaugurato il Polo della Dieta Mediterranea, un progetto nato per valorizzare le produzioni tipiche locali aderenti al modello della Dieta Mediterranea.
Valorizzazione della Dieta Mediterranea
L’obiettivo principale del Polo è la diffusione della conoscenza di questo patrimonio di sapori e saperi, legato a tradizioni secolari. Queste peculiarità rappresentano un forte driver per attrarre flussi turistici verso la destinazione.
Tradizioni e Manifestazioni Locali
Palma Campania è una realtà ricca di tradizioni e manifestazioni, che rappresentano il Genius Loci di questa località vesuviana.
Tra gli eventi di maggiore interesse si annovera il Carnevale Palmese, una festa ultracentenaria risalente al 1700, riconosciuta tra i Carnevali Storici d’Italia.
Il cuore della manifestazione è costituito dalle celebri Quadriglie, sfilate musicali animate da musicisti e artisti che utilizzano strumenti artigianali tipici della tradizione campana, come:
Scetavajasse
Putipù
Triccaballacche
L’intera comunità locale partecipa attivamente, contribuendo a mantenere viva questa tradizione, arricchendola con un tocco di innovazione.
Passeggiata Narrata al Centro Storico e al Palazzo Aragonese
L’itinerario prevede una visita guidata nel centro storico di Palma Campania.
L’antica area urbana conserva ancora aspetti architettonici e decorativi di epoche passate, tra cui:
Largo uso della pietra vesuviana (viali, gradini, portali)
Giardini rialzati profumati di fiori e agrumi
Decine di edicole sacre
A pochi passi da Piazza De Martino, centro della vita cittadina, si trova il Palazzo Aragonese, residenza di Re Alfonso D’Aragona e dei suoi discendenti, utilizzato per la caccia al falcone nel Piano di Palma.
Degustazione di Prodotti Locali in Ristorante Tipico
Al termine del tour, la guida accompagnerà i visitatori in un ristorante locale, dove sarà possibile assaggiare prodotti e piatti tipici della tradizione del Carnevale Palmese.
Il tutto sarà arricchito da un racconto emozionale che farà rivivere le antiche origini di questa tradizione folkloristica.
Terzigno
Terzigno, situato alle pendici del Vesuvio, rappresenta una delle realtà insediative più antiche dell’Area Vesuviana, storicamente considerata la periferia dell’antica Pompei. A partire dal 1981, sono stati rinvenuti importanti resti archeologici di ville romane che confermano il legame profondo del territorio con la storia.
Storia e Origine del Nome
Il nome "Terzigno" potrebbe derivare dal latino “Ter-Ignis”, ovvero "tre volte toccata dal fuoco", in riferimento alle eruzioni vulcaniche che hanno colpito l’area nel corso dei secoli. Già in epoca romana, Terzigno ospitava contadini e viticoltori, la cui produzione vinicola di altissima qualità soddisfaceva la domanda degli abitanti di Pompei.
Oltre ai celebri vitigni, Terzigno vanta luoghi di interesse culturale e naturalistico, come:
Il Museo MATT (Museo Archeologico Territoriale di Terzigno)
Emblema
Il Percorso n. 11 del Parco del Vesuvio, noto come “La Pineta di Terzigno”
Attività e Itinerario
Visita guidata al Museo MATT
Un’esperienza imperdibile per scoprire un pezzo di storia del territorio.
Mostra Archeologica: “Pompei oltre le mura – Le ville romane di Terzigno all’ombra del Vesuvio”.
Approfondimenti sulla vita quotidiana nelle ville di campagna ai margini dell’antica Pompei.
Valorizzazione di reperti archeologici attraverso la musealizzazione.
Visita a una Cantina Locale e Degustazioni
Un’immersione nei sapori del territorio presso una cantina locale dove si produce il celebre “Lacryma Christi”, vino ottenuto da vigneti autoctoni cresciuti su suolo vulcanico.
Degustazione di vini accompagnata da prodotti tipici locali a km 0.
Approfondimenti sulla tradizione vinicola e il legame con la terra vesuviana.
Passeggiata narrata tra le Case a Cupola
Scoperta delle “Cortine di Terzigno”, aggregati di case a cupola che costituiscono il vero centro storico.
Elementi distintivi: cisterne, forni, lavatoi, aje, tinacci e torchi, simboli di un passato basato su condivisione e vita comunitaria.
Approfondimenti sull’importanza delle case a cupola come testimonianza della cultura contadina e del legame con il Vesuvio.
Valorizzazione del Patrimonio Storico
Questo itinerario celebra l’identità e la memoria di Terzigno, un luogo dove natura, storia e tradizioni si intrecciano. Attraverso la riscoperta delle sue case a cupola, dei suoi vigneti e dei reperti archeologici, il progetto punta a custodire e tramandare scene di vita quotidiana che raccontano una storia millenaria.
Ottaviano
Ottaviano, situato nella zona vesuviana interna lungo le pendici orientali del complesso vulcanico del Somma-Vesuvio, vanta origini antichissime. Il paese si sviluppò attorno al Praedium Octaviorum, un vasto possedimento della famiglia dell’imperatore Cesare Ottaviano Augusto. Da questo borgo, chiamato Octavianum e successivamente divenuto Municipium, ha preso vita una storia ricca di eventi. Si narra che proprio qui l’imperatore Augusto si ammalò e morì.
Nel corso dei secoli, Ottaviano fu amministrata e occupata da numerosi popoli: Bizantini, Ungheri, Longobardi, Svevi, Normanni e Angioini. In seguito, la città passò sotto il controllo di varie famiglie nobiliari, tra cui i D’Aquino (con Tommaso, nonno di San Tommaso), gli Orsini, i Cola e Fabrizio Maramaldo. Quest’ultimo vendette il feudo ai Gonzaga di Molfetta, che nel 1567 lo cedettero a Bernardetto de’ Medici di Toscana, parente del granduca Cosimo I de’ Medici e fratello di Papa Leone XI. La famiglia de’ Medici governò il feudo fino al 1860, segnando un lungo periodo di stabilità. Tra i suoi membri spicca Luigi de’ Medici, uno dei più importanti statisti del Regno delle Due Sicilie.
Come tutta l’area vesuviana, Ottaviano si distingue per la fertilità dei suoi terreni, ricchi di minerali vulcanici. Questa particolare composizione favorisce la coltivazione di prodotti agricoli di pregio, come l’albicocca e il pomodorino del piennolo. La viticoltura, grazie alla resistenza della vite locale alla filossera, rappresenta un’eccellenza unica: le viti crescono su piede franco, conservando una tradizione millenaria.
Ottaviano è anche una meta rilevante per il turismo religioso, con ben 14 chiese ricche di opere d’arte. Tra queste, spiccano la Chiesa Madre di San Michele Arcangelo, con opere di Angelo Mozzillo, e la Chiesa del SS. Rosario, che custodisce capolavori di Mozzillo, Boscoli e Ferraù Fenzoni.
Per valorizzare le ricchezze storiche, architettoniche e culturali di Ottaviano, l’itinerario proposto prevede un percorso guidato attraverso i principali siti d’arte e le mostre del centro storico. Il tragitto si sviluppa lungo l’asse denominato Salita San Michele, dal Palazzo Mediceo fino a Piazza Annunziata.
Programma dell’Itinerario
Palazzo Mediceo: sede della mostra dell’artista polacco Tomek Krupinsky;
Chiesetta del Vaglio;
Chiesa di San Michele;
Chiesa di Santa Maria Visita i Poveri: esposizione di presepi napoletani tradizionali;
Complesso Ave Grazia Plena: esposizione delle opere di tre artisti locali.
A conclusione del percorso, nella suggestiva cornice del giardino superiore del Palazzo Mediceo, si terrà uno spettacolo di musica e danza, in programma fino alle ore 24:00
Chianche
Il comune di Chianche sorge nell'area della Valle del Sabato. È un borgo di 459 abitanti, situato a 356 metri sul livello del mare e a 24 km da Avellino. Il territorio si estende per 6,61 km² e i comuni confinanti sono: Altavilla Irpina, Ceppaloni, Petruro Irpino, San Nicola Manfredi, Sant'Angelo a Cupolo e Torrioni.
L'etimologia del nome sembrerebbe provenire dal termine "Plancae": pietre quadrate che, utilizzate per lastricare le strade romane, venivano estratte presso una cava, tuttora esistente, nella frazione Chianchetelle. Gli abitanti sono detti chianchesi e San Felice di Nola è il loro patrono.
Prata principato Ultra
Il comune di Prata di Principato Ultra sorge nell'area della Valle del Sabato. È un paese di 2.995 abitanti, situato a 310 metri sul livello del mare e a 13 km da Avellino. Il territorio si estende per 10,99 km² e i comuni confinanti sono: Altavilla Irpina, Grottolella, Montefredane, Montemiletto, Pratola Serra, Santa Paolina e Tufo. È bagnato dal fiume Sabato.
L'etimologia del nome è incerta, ma alcuni la fanno derivare dal vocabolo latino Pratum, nel plurale Prata, che significa "prato" o "pianura", riferendosi a un'attestazione manoscritta del 1328; la specifica "Principato Ultra" fa, invece, riferimento alla suddivisione amministrativa precedente all'Unità d’Italia. Gli abitanti sono detti pratesi e San Giacomo è il loro patrono.
Tufo
Il comune si sviluppò intorno all'area del castello, che sorgeva in cima ad una roccia vulcanica. La sua posizione strategica fece sì che il comune assunse notevole importanza perché era possibile controllare il territorio sottostante dal Terminio al Sannio.
Dopo la conquista normanna il territorio fu distaccato dal principato di Benevento e aggregato alla contea di Ariano; munito di robuste fortificazioni, Tufo nel 1266 ospitò una battaglia tra Svevi e Angioini. Con la regina Giovanna II di Napoli il borgo finì sotto la giurisdizione avellinese, rimanendo coinvolto nelle vicende che interessarono l'intera Italia meridionale intorno al 1400, quando passò in mano agli Aragonesi, per essere poi ceduto al conte Piatti di Venezia nel XVIII.
Nel 1866 Francesco Di Marzo scoprì l'esistenza di miniere di zolfo sul territorio comunale. La lavorazione dello zolfo caratterizzò l'economia tufese fino agli anni '60 quando si ebbe la crisi del settore. Nel 1972 le cave furono chiuse e negli anni '90 lo stabilimento cessò definitivamente l’attività.
Santa Paolina
Il territorio di Santa Paolina è stato abitato fin dall'età neolitica e ha visto la presenza di una civiltà irpina pre-romana nel IX secolo a.C. La leggenda narra che inizialmente il paese si chiamasse S. Felice, ma dopo una frana nel 1814 fu ricostruito vicino a una chiesetta dedicata a Santa Paolina. La sua storia risale all'anno mille, con citazioni in documenti storici, e il paese ha subito diverse dominazioni nel corso dei secoli. Durante il feudalesimo, Santa Paolina era considerata un feudo di basso valore, con una popolazione umile. Nel 1716, il casale era descritto come un luogo con buone risorse idriche e una comunità laboriosa. Nel corso del tempo, il paese ha subito danni a causa di frane e terremoti, ma il nucleo storico, sebbene rimaneggiato, conserva ancora elementi architettonici significativi. Oggi, Santa Paolina è un piccolo borgo ricco di storia e tradizione, situato tra i pendii del Monte San Felice, con chiese e piazze che testimoniano il suo patrimonio culturale.
Torrioni
Torrioni sorge a 645 metri sul livello del mare, incastonato nella media valle del Sabato, una delle principali vallate dell'Irpinia, in provincia di Avellino.
Il territorio comunale, che si estende per circa 4,13 km², si caratterizza per una morfologia collinare-montana, con pendii di media acclività che digradano verso il fondovalle del fiume Sabato.
Dal punto di vista geologico, l'area è costituita principalmente da terreni calcareo-marnosi di epoca miocenica, intercalati da strati argillosi e flysch, che conferiscono al paesaggio la tipica conformazione ondulata.
Il microclima locale presenta caratteristiche di transizione tra quello mediterraneo e quello appenninico, con estati moderatamente calde (temperatura media di 22-24°C nei mesi estivi) e inverni relativamente rigidi (temperatura media di 4-6°C nei mesi invernali).
Le precipitazioni, distribuite principalmente nei periodi autunnale e primaverile, raggiungono una media annua di circa 800-1000 mm.
Questa combinazione di fattori climatici, unitamente alle caratteristiche pedologiche, ha favorito lo sviluppo di una vegetazione mista, con elementi della macchia mediterranea nelle aree più soleggiate e formazioni boschive di latifoglie (prevalentemente querce, castagni e faggi) nelle zone più elevate e ombreggiate.
Montefusco
Montefusco è un affascinante borgo dell'Irpinia, situato a 707 metri sul livello del mare, che offre una combinazione di storia, arte e gastronomia. La sua posizione collinare, con suoli adatti alla viticoltura e un clima appenninico, ha reso il territorio particolarmente fertile e strategico nel corso dei secoli.
Le origini di Montefusco risalgono al VI secolo a.C., con insediamenti degli Hirpini. Durante l'epoca romana, il borgo mantenne un ruolo minore, ma con il declino dell'Impero e l'arrivo dei Longobardi, iniziò a svilupparsi nuovamente. Nel periodo normanno, divenne un feudo e sotto Federico II conobbe un periodo di prosperità.
Con l'arrivo degli Angioini, Montefusco acquisì importanza amministrativa, diventando sede di un tribunale provinciale. Sotto il dominio aragonese, raggiunse il suo apice politico, ma nel XIX secolo, con le riforme napoleoniche, iniziò un declino che portò a un progressivo spopolamento.
Negli ultimi decenni, Montefusco ha visto una riscoperta del suo patrimonio storico e artistico, diventando un "borgo di interesse storico" e attirando l'attenzione turistica.
Altavilla Irpina
Altavilla Irpina ha origini antiche, con riferimenti storici che risalgono a Virgilio nell'Eneide. Situata nel cuore dell'Irpinia, a 17 km da Benevento e Avellino, il comune si estende su tre colli e domina le valli del fiume Sabato e del torrente Vellola. La sua storia è segnata da insediamenti fin dalla preistoria e si sviluppa in età romano-longobarda, inizialmente chiamata Altacauda. Nel corso dei secoli, il borgo passò sotto vari signori, tra cui i De Capua, che ne amministrarono le rendite feudali. Importanti edifici storici, come il Palazzo Comitale e la Chiesa dell’Annunziata, furono costruiti nel periodo medievale. Dopo un periodo di crisi nel Seicento, Altavilla si riprese nel Settecento e nell'Ottocento, con l'aggiunta del nome "Irpina" nel 1862 per distinguerla da altri comuni. L'industrializzazione iniziò nel 1866 con la scoperta di miniere di zolfo. Oggi, la memoria storica del paese è commemorata da un monumento ai caduti in guerra.
Preturo Irpino
Petruro Irpino è un comune italiano di 294 abitanti della provincia di Avellino in Campania.
Sorge in posizione panoramica su uno sperone roccioso nella media Valle del fiume Sabato, là dove si insinua nella località conosciuta come Stretto di Barba.
In merito all'origine del toponimo, con riferimento alle tracce di insediamenti di epoca romana ritrovati nel territorio, Petruro deriverebbe dal latino Petra ("rupe", "roccia"), oppure secondo altri da Petrurium, "pietra-roccia". Ipotesi entrambe plausibili considerando l'orografia del luogo.
Nel 1950 al nome Petruro fu aggiunto l'aggettivo "Irpino", con chiaro riferimento al distretto storico-geografico dell'Irpinia.
Al 1240 il paese era un casale di Montefusco. In epoca angioina (1289) il feudo di Petruro era in possesso di Giovanni Mentella. Nel XV secolo era in possesso dei D'Afflitto. Petruro fu possesso feudale dei de Candida alla metà del XV secolo per poi passare ai Calenda agli inizi del XVI secolo. Alla fine del XVI secolo passò ai Matelica e poi ai Marano (XVII secolo). Nel 1695 Carlo II di Spagna investì Gaetano Marano del titolo di marchese di Petruro. La famiglia si estinse alla fine del XVIII secolo con Teresa Marano che sposò Domenico Bonito. Il titolo di marchese passò così al figlio Alessandro Bonito.
Tra il 1927 ed il 1945 Petruro perse l'autonomia amministrativa e fu aggregato a Chianche.



















