Museo Palladio
- Titolo
- Museo Palladio
- Descrizione
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Si chiama Palladio Museum, due parole che non hanno bisogno di traduzione su internet, ma che fondano la propria identità nel mondo antico greco e latino, tanto che nel disegno del logo è rimasta la memoria del dittongo della scrittura "musaeum".
Con il Palladio Museum gli studiosi raccolti nel Centro palladiano raccontano ad un largo pubblico le proprie ricerche nel mentre si stanno svolgendo; in particolare - ma non esclusivamente - quelle su Andrea Palladio. Gruppi di studiosi lavorano su progetti di ricerca che diventano i temi delle stanze del museo, ognuna delle quali ha tendenzialmente la durata di un anno sulla base di un programma triennale.
Non è il mausoleo di un eroe morto, è piuttosto un luogo dove far crescere una cultura dell'architettura, lontano dalle ciniche logiche della professione, che consumano saperi senza produrne di nuovi. Il Palladio Museum lavora su Palladio, ma senza "attualizzarlo", e men che meno proporlo come modello formale per l'oggi. Indaga il passato con gli strumenti della filologia e attenzione ai contesti, indispensabili per cercare di comprendere un mondo sfumato e lontano, e al tempo stesso vicinissimo e molto concreto, ogni volta che camminiamo fra palazzi, ville o chiese costruite secoli fa. La missione del Palladio Museum è leggere alla radice temi e concetti significativi anche nel nostro presente, rappresentandoli e discutendoli con l'orizzonte di creare una piattaforma culturale per l'architettura di domani.
Finora i progetti di ricerca hanno riguardato la comunicazione, la tecnologia, il rapporto con l'economia e con il paesaggio, il disegno di organismi complessi. Essi sono temi chiave per Palladio, e sono alla base della concezione dei Quattro Libri così come dei progetti urbani, delle ville in campagna e delle chiese veneziane; al tempo stesso sono temi di una agenda contemporanea.
Contenuti
I Quattro Libri dell’Architettura
I Quattro Libri dell’Architettura di Andrea Palladio hanno esercitato un’enorme influenza, diffondendo la conoscenza delle opere e delle idee dell’architetto italiano ben oltre la piccola cerchia di committenti eruditi e architetti che riuscivano a raggiungere l’Italia per vedere i suoi edifici. L’efficace impianto grafico del libro, con la sua combinazione di testi e illustrazioni, costituì una lezione per tutti i successivi libri sull’architettura. Fu ampiamente distribuito non soltanto in successive edizioni italiane, ma anche in molte traduzioni integrali o parziali.
Con ogni probabilità, Palladio maturò l’idea di pubblicare un libro sull’architettura fin dagli esordi della propria carriera. Aveva davanti a sé l’esempio del Quarto Libro (1537, sugli ordini) e del Terzo Libro (1540, sulle antichità e i capolavori moderni) di Serlio. La sua visita a Roma nel1541, lo indusse probabilmente a pensare che avrebbe potuto fare meglio, mentre la nomina di Serlio ad architetto di Francesco I di Francia deve averlo spronato. I suoi primi studi su Vitruvio, la progressiva raccolta di un corpus di disegni di opere antiche e moderne, nonché l’eleganza con cui formulò i suoi primi progetti contribuiscono a suggerire che di pari passo con i propri studi e l’attività di architetto procedesse di proposito alla creazione di materiale per un libro. La prima indicazione circa l’esistenza del libro in forma manoscritta è data dagli accenni che ne fanno Doni (1555) e Daniele Barbaro (1556); quest’ultimo scrive che esso è principalmente dedicato all’architettura domestica «con le piante, gli in pie[di], profili di tutte le case, & pallazzi, che egli ha ordinati a diversi nobili, con l’aggiunta di alcuni belli Edifici antichi ottimamente dissegnati». L’attenzione rivolta alle case rappresenta un cambiamento rispetto alle priorità di Vitruvio e Serlio che danno la precedenza agli ordini e all’architettura religiosa (il Sesto Libro di Serlio, sulle case, i palazzi e le residenze di campagna non fu mai stampato).
L’impostazione data da Palladio si ispira probabilmente a Trissino, il quale inizia il suo breve saggio manoscritto sull’architettura dichiarando: «La architettura è un artificio circa lo habitare de li homini, che prepara in esso utilità e dilettazioni». Anche Alvise Cornaro, nel suo trattato non pubblicato di architettura, si concentra sulle case.
Nel 1555, Palladio forse ritenne di dover costruire di più in modo da poter presentare una valida architettura moderna sulla base esclusiva dei propri lavori e all’inizio degli anni sessanta del Cinquecento era in grado di farlo; gran parte dei primi tre libri è già redatta nel manoscritto conservato alla Biblioteca Correr, databile al periodo 1561-1565. Nel 1566, Giorgio Vasari era a Venezia dove vide il manoscritto di Palladio e utilizzò i propri appunti su di esso, alquanto confusi, nella stesura della biografia di Palladio (1568). Il lavoro preparatorio ai testi e alle illustrazioni è ulteriormente documentato da disegni e da soltanto quattro righe scritte da Palladio e non da aiutanti (come il manoscritto Correr).
Battista Zelotti, nella propria rappresentazione dell’Architettura negli affreschi di villa Emo, celebra gli ancora inediti Quattro Libri: la dama esibisce un libro manoscritto, con la pianta della villa stessa.
Il 21 aprile 1570 l’editore Domenico de’ Franceschi – probabilmente un socio, non un parente dell’importante editore di testi di architettura Francesco de’ Franceschi – richiese i diritti veneziani per l’opera ancora composta da tre, e non quattro, libri. Il titolo subì un’ultima trasformazione: l’opera comparve dapprima come Due libri dell’architettura e Due libri delle antichità, titoli che divennero ben presto un unico Quattro Libri (ma con due dediche, una per ciascuna coppia di libri, all’amico e committente Giacomo Angaran e a Emanuele Filiberto, duca di Savoia).
Nel completare il proprio libro, Palladio trasse vantaggio dalla recente pubblicazione di buone traduzioni illustrate dei testi chiave sull’architettura (Vitruvio e Alberti), ai quali poteva, per molti argomenti, fare semplicemente riferimento. Il suo lavoro evita gli errori di Serlio (come annotare le dimensioni in caratteri piccoli invece di inserirle in maniera leggibile sulle piante) e trae vantaggio dall’abile presentazione degli ordini fatta da Vignola (1562) e dall’esempio delle eccellenti illustrazioni delle antichità contenute nel Libro di Labacco (1552).
Palladio offre una chiara, coesa guida all’architettura, impostata in maniera molto simile alle contemporanee guide alla grammatica e allo stile. Inizia con la descrizione delle componenti di base e le regole che le governano: gli ordini, la forma delle stanze, i tipi di volta, le porte, le finestre, le scale. Nel Secondo libro mostra come queste possano essere combinate a comporre palazzi e ville. Nel Terzo libro esamina gli edifici pubblici, a cominciare dalle strade e dai ponti, per poi passare alle piazze, alle basiliche e perfino a un ginnasio. Il Quarto libro si differenzia alquanto dagli altri: dopo osservazioni generali sull’architettura religiosa, Palladio pubblica le proprie ricostruzioni dei templi antichi, con succinte, ma acute analisi storiche e architettoniche di ognuno.
Palladio si rivolgeva a un pubblico ampio che comprendeva artigiani colti, studiosi, architetti, potenziali committenti e gentiluomini eruditi. La decisione di adottare uno stile di scrittura chiaro e diretto – «mi servirò di quei nomi, che gli artefici hoggidì communemente usano» –, assieme alla chiarezza delle illustrazioni, rese l’operazione possibile.
Nei Quattro Libri Palladio si presentava al mondo. Non è un’autobiografia bensì un autoritratto. Palladio non sceglie di raccontare la propria storia, il lungo, difficile e felice cammino che lo porta dall’originaria condizione di artigiano alla fama di principale architetto, e scrittore di architettura, di Venezia. Il suo libro però rivela senz’altro il suo senso della professione; la riconoscenza nei confronti di Trissino, Angaran, e altri committenti; il suo scetticismo e acume critico; l’ammirazione nei confronti di molti artisti, il fervido dialogo con le rovine dell’antichità. Trasmette il sentimento che le belle architetture offrono una qualche consolazione di fronte alle avversità della vita; l’orgoglio nei confronti delle proprie creazioni, come la chiesa di San Giorgio o la Basilica di Vicenza: «non dubito che questa fabrica non possa esser comparata à gli edificij antichi; & annoverata tra le maggiori, e le più belle fabriche, che siano state fatte da gli antichi in quà, si per la grandezza, e per gli ornamenti suoi». Nei Quattro Libri Palladio celebra il fatto che anche a lui fosse riservato un posto nella nobile storia delle arti in Italia, tracciata dall’amico Vasari.
Howard Burns (2008)
La Rotonda
La Rotonda non è villa-fattoria, ma villa suburbana, costruita poco al di fuori della città, come la villa di Cricoli di Trissino. È ispirata alle residenze degli antichi Romani desiderosi di vivere a contatto con la natura senza allontanarsi troppo dal luogo del potere: una tipologia rilanciata dai potenti cardinali di primo Cinquecento con le loro “vigne”, dove Trissino e Palladio erano stati spesso ospiti durante i viaggi a Roma.
Il sito in cui sorge è particolarissimo perché offre a Palladio la possibilità di una citazione letteraria dalle pagine in cui lo scrittore antico Plinio il Giovane descrive la propria villa nell’antica Tuscia: la Rotonda sorge su un «monticello di ascesa facilissima» ed è circondata da colli che ne fanno un «molto grande teatro».
Il committente Paolo Almerico è figura singolare: uomo di chiesa, con una brillante carriera alla corte di ben due papi, è accusato di omicidio e passa diversi anni in prigione prima di commissionare la villa nel 1566. Abitabile nel 1569 ma ancora incompleta, la Rotonda viene ceduta nel 1591, due anni dopo la morte di Almerico, ai fratelli Odorico e Mario Capra che la portano a termine. Vincenzo Scamozzi interviene sul progetto dopo la morte di Palladio, tagliando al centro le quattro scalinate per consentire un accesso diretto al basamento della villa: certo un miglioramento distributivo, ma con un impatto crudele sull’edificio, che verrà cancellato solo alla fine del Settecento. È di Scamozzi anche la coppia di aperture che danno aria ai pronai, di una forma ovale inconsueta nel linguaggio palladiano.
La decorazione dell’edificio è sontuosa, con interventi di Lorenzo Rubini e Giambattista Albanese (statue), Agostino Rubini, Ottavio Ridolfi, Ruggero Bascapè, Domenico Fontana e forse Alessandro Vittoria (decorazione plastica di soffitti e camini), Anselmo Canera, Bernardino India, Alessandro Maganza e più tardi Ludovico Dorigny (apparati pittorici).
In origine la Rotonda era isolata e priva di annessi agricoli, realizzati in seguito da Scamozzi. È un’astrazione, specchio di un ordine e un’armonia superiori. Orientata con gli spigoli verso i quattro punti cardinali per essere letta come volume, è composta da cubo e (semi)sfera, le figure base dell’universo platonico. Le fonti per un edificio residenziale con una sala rotonda al centro sono molteplici, dai progetti di Francesco di Giorgio ispirati a villa Adriana, alla casa di Mantegna a Mantova (o la sua Camera degli Sposi nel castello di San Giorgio), sino a modelli letterari come il Mausoleo di Alicarnasso, anch’esso quadrato, con quattro pronai identici e una cupola. I suoi alzati sono debitori delle rappresentazioni di templi antichi sulle monete imperiali romane.
La Rotonda resta un unicum nell’architettura di ogni tempo e nella stessa produzione di Palladio, che ne era certo consapevole. Come recita un sonetto del poeta e artista Giovanni Battista Maganza indirizzato a Paolo Almerico: «La Rotonda è il più bel progetto che Palladio abbia mai fatto perché voi lasciaste briglia sciolta al suo cervello».
Guido Beltramini (2020)

